Le aziende stanno richiedendo un cambiamento del proprio asset comunicativo? Con quali modalità?
Lavoro nel settore digitale e i principali cambiamenti che ho osservato nell’ultimo anno riguardano soprattutto la maggiore consapevolezza da parte delle aziende del valore strategico di questo canale, considerando che il nostro Paese continua a scontare un forte ‘gap’ rispetto al resto dell’Unione Europea per quanto riguarda il processo di digitalizzazione. Rispetto a diversi anni fa, il tema della responsabilità sociale è sicuramente più sentito soprattutto in alcuni settori, dove la produzione di beni incide in modo significativo sul consumo di risorse e, complici le importanti delocalizzazioni, coinvolge diritti ancora molto fragili dei lavoratori locali. Penso al settore ‘moda’ e al settore della ‘tecnologia’, per fare due esempi. In questo caso, è importante che le campagne di responsabilità sociale siano basate su progetti con una concreta capacità di incidere positivamente sugli aspetti critici della produzione, perché anche la migliore comunicazione può rivelarsi fallimentare ed essere percepita come un’operazione meramente ‘di facciata’ se non supportata da azioni concrete e incisive. Soprattutto considerando che la comunicazione sui canali digitali si basa sull’interazione e i consumatori sono sempre meno ‘attori passivi’ dei messaggi veicolati dai brand, ma possono farsene portavoce o -al contrario- metterne in discussione l’autenticità con grande risonanza.
In che modo si è riuscito a comunicare in un periodo di pandemia? Che difficoltà si sono incontrate sui diversi fronti merceologici? Si può essere originali e creare interesse intorno a iniziative differenti dalla nuova consuetudine?
In ambito digitale, la pandemia è stata un vero e proprio ‘acceleratore’ di processi già in corso: in un anno in cui gli acquisti online sono diventati una necessità, moltissimi consumatori hanno familiarizzato con un’esperienza in precedenza saltuaria -se non inedita. Soprattutto pensando a questi consumatori (ma non solo), i brand più ‘evoluti’ (ovvero quelli che anticipano i trend di un settore) hanno cercato di offrire un’esperienza di acquisto che potesse far rivivere ai clienti gli acquisti effettuati nei punti vendita ‘fisici’: anche grazie alle AMP (Accelerated mobile pages) di Google, si sono moltiplicate le interazioni rese possibili dalla realtà aumentata (come il “virtual try-on”, per provare capi e accessori direttamente dal proprio smartphone) e le visualizzazioni ‘3D’ dei prodotti. In particolare poi, si è curata molto la componente dei ‘servizi’, ampliando la gamma di opzioni di consegna e pagamento (delivery, pick&pay, punti di ritiro, …), offrendo la possibilità di effettuare una ‘prova gratuita’, un servizio di reso agevolato, date di consegna garantite. Anche la localizzazione delle comunicazioni nelle campagne di digital marketing ha assunto un’ulteriore importanza, a causa dei provvedimenti che in questi mesi hanno scandito aperture e chiusure dei punti vendita a livello locale. In conclusione, comunicare in questo periodo non è stato semplice, ma si sono distinti i brand che hanno puntato su comunicazioni chiare e rassicuranti, con un focus sulla componente di ‘servizio’, che hanno aumentato il senso di connessione con i propri clienti, con messaggi diretti e sempre più personali, e che hanno saputo rendere sempre più reale e interattiva l’esperienza di acquisto ‘virtuale’.
In che modo le agenzie possono dialogare con efficacia con gli utenti rispettando i valori e le aspettative dei brand? Quanto è difficile oggi comunicare con dei target sempre più eterogenei, considerando il notevole aumento delle piattaforme social?
Comunicare sulle piattaforme ‘social’ non è affatto semplice, a causa della già menzionata ‘interattività’ di questo canale: pertanto l’improvvisazione non è certamente una buona strada da seguire. La comunicazione sui social network va sempre affidata a professionisti della comunicazione e richiede un’adeguata pianificazione editoriale nonché delle regole chiare e condivise sui contenuti, il linguaggio, i valori e tutti quegli aspetti che è fondamentale definire per qualsiasi campagna. Chiaramente, la conoscenza del target è un aspetto critico nella comunicazione e qui si può guardare all’interazione nel settore digitale come un’opportunità, oltre che un elemento di complessità. Infatti, il coinvolgimento degli utenti su questi canali dovrebbe mirare a creare maggiore ‘awareness’ ed ‘engagement’ attorno al brand, ma anche ad una migliore conoscenza del proprio target da parte dei brand, con attività di ‘progressive profiling’ per campagne sempre più segmentate e su misura. La ‘gamification’ è una delle leve più efficaci in questo ambito. Conoscere meglio la propria audience significa essere in grado di sintonizzarsi maggiormente con essa, creando connessione ed empatia, comunicando ad un livello più personale e meno ‘omologato’ e, in definitiva, emergendo dalla quantità impressionante di stimoli visivi cui oggi è sottoposto chiunque di noi. In futuro sarà sempre più strategica la capacità delle agenzie di creare sinergie con i propri clienti per raccogliere dati che aiutino a mettere a fuoco i nostri interlocutori, i loro bisogni e i loro valori.