Le aziende stanno richiedendo un cambiamento del proprio asset comunicativo? Con quali modalità?
Il mercato è in continuo mutamento e questo è il bello del nostro lavoro. La società cambia, i comportamenti e lo stile di vita dei consumatori cambiano e così sta evolvendo anche il modo di fare marca e di fare marketing delle aziende.
Tante sono le partite in cui oggi i brand sono chiamati a scendere in campo: politica, temi sociali (omofobia e body positivity ad esempio), sostenibilità. Maggiore è infatti l’importanza del valore dei sentimenti, delle emozioni, del rispetto per gli altri e per l’ambiente.
La marca è chiamata ad essere protagonista, non una silente spettatrice, andando a cogliere quelle occasioni che ha di smarcarsi dai terreni già presidiati e consolidare la propria distintività. Le aziende hanno percepito l’opportunità di questi nuovi spazi di manovra e si stanno muovendo per migliorare la propria reputazione, andando a puntare su logiche maggiormente inclusive. Ora la marca non parla più in modo unidirezionale, interagisce sempre di più, puntando ad accrescere la sua capacità di creare una comunità o una tribù attorno a sé.
Sicuramente la sostenibilità è il tema più caldo a cui stiamo assistendo: si parla sempre di più di biologico, di economia circolare e di fonti rinnovabili, ma dobbiamo ricordare che la marca non è il risultato della moda, la marca ha una propria identità e personalità da portare avanti con metodo e disciplina.
In che modo si è riuscito a comunicare in un periodo di pandemia? Che difficoltà si sono incontrate sui diversi fronti merceologici? Si può essere originali e creare interesse intorno a iniziative differenti dalla nuova consuetudine?
Durante la pandemia abbiamo visto brand occupare spazi comuni nella comunicazione, accavallandosi uno sull’altro nei medesimi codici e concetti, rischiando così l’omologazione. La priorità della marca è di distinguersi e durante il lockdown, molti brand hanno preferito presidiare spazi di posizionamento più “facili”. Questo è ciò che più minaccia la marca, perché ogni marca dovrebbe avere una posizione, e non una posa, per dare al prodotto o al servizio lo spazio che lo identifica. L’originalità ci dev’essere ma deve essere orientata alla comunicazione dei valori appartenenti a quella marca e su ciò che offre di diverso. In questo modo si rafforza il suo essere marca, e quindi un’associazione mentale unica e distintiva. Per fare questo le possibilità creative sono infinite. La capacità è quella di saper estrarre la propria identità, la propria vera essenza, e di conseguenza, saperla veicolare nel modo più distintivo e vicino ai consumatori con cui scegliamo di rapportarci.
In che modo le agenzie possono dialogare con efficacia con gli utenti rispettando i valori e le aspettative dei brand? Quanto è difficile oggi comunicare con dei target sempre più eterogenei, considerando il notevole aumento delle piattaforme social?
Con la nascita dei social media, la comunicazione è diventato un mondo ancora più complesso. Da una parte il digital ha creato un “mondo parallelo” da presidiare, rendendo accessibili dei confini di comunicazione che hanno portato con sé nuove opportunità di visibilità e, di conseguenza, di business. D’altra parte, i social hanno rivoluzionato il terreno di gioco su cui i brand erano soliti giocare le proprie partite e questo ha scosso le fondamenta su cui da sempre avevano retto la propria struttura.
La marca deve riuscire a tenere il tempo della società, dei suoi usi e costumi, senza fare l’errore di diventare un luogo comune. L’errore, ed il pericolo, è di omologarsi, incappando in formati e linguaggi che non permettono di preservare ciò che è più caro alla marca: la sua distintività.I brand, al giorno d’oggi, stanno adottando sempre più simbologie e codici propri, con modalità di interazione sempre più verticali, rivolte a nicchie di mercato con cui instaurare relazioni profonde.
Per questo motivo, analisi, disciplina e metodo non sono mai stati così importanti per “mettere in bolla” il brand con questi terreni inesplorati. L’improvvisazione minaccia gravemente le fondamenta della marca e per questo la necessità è di avere dei guardiani che possano tutelarla, mettendo al primo posto la qualità di contenuto e non la quantità.